Giorni fa abbiamo pubblicato l’intervista a una ex operatrice di Cas, gestiti in provincia di Frosinone dalla Molise Vacanze s.r.l. Abbiamo raccontato le cattive condizioni in cui uomini e donne accolti nelle strutture affidate a privati spesso sono costretti a vivere.
Come abbiamo detto anche nel primo post che ha inaugurato questo nostro viaggio, le condizioni descritte non sono eccezionali piuttosto rappresentano una normalità sconcertante. La Molise Vacanze quindi può essere presa a esempio dei tanti casi di mala accoglienza, utile per ragionare sul sistema di “emergenza permanente”.
Proviamo a guardare la situazione da un punto di vista economico. L’azienda taglia i costi di tutti i servizi che dovrebbe offrire alle persone che ospita. Alloggio, alimentazione, cure mediche e corsi di integrazione sono ridotti all’osso (approfondiremo poi il trattamento dei lavoratori e delle lavoratrici dei Cas). In queste situazioni, oltre a non rispettare l’umana decenza, l’ente privato tradisce il mandato della Prefettura e le norme vigenti.
Sì, perché i centri di accoglienza straordinaria hanno delle norme a cui riferirsi. Le Prefetture assegnano i servizi alle cooperative tramite bandi di concorso (nei casi più emergenziali, il mandato della Prefettura è diretto) e secondo la direttiva di un capitolato d’appalto. Il capitolato d’appalto è un contratto in cui la Prefettura indica i servizi richiesti e che impegna la cooperativa al loro assolvimento.
Ma come vengono spesi i soldi con cui ogni cooperativa e azienda deve gestire questi centri? Un modo per controllare l’uso dei fondi pubblici, impedendone un uso improprio, c’è e si chiama rendicontazione. La rendicontazione prevede un registro dettagliato delle spese di un centro di accoglienza, e costituisce una grossa differenza tra Cas e Sprar.
La rendicontazione è obbligatoria per i progetti Sprar sin dalla loro prima istituzione nel 2002. Secondo il Manuale unico di rendicontazione Sprar «il principio di rendicontazione a “costi reali” delle spese di un progetto Sprar è compatibile con quanto previsto dalla normativa in materia di affidamento dei servizi attraverso procedura di evidenza pubblica, ed in particolare dell’appalto». In altri termini, i progetti Sprar vengono spesati dal pubblico solo se i costi sono dimostrati da «documentazione fiscale e di pagamento». Ed è obbligatoria come per tutti i servizi finanziati da fondi pubblici. Sul sito della rete Sprar sono presenti l’informativa e la modulistica completa per la rendicontazione annuale. È richiesto il dettaglio di tutte le spese legate alla struttura, ai professionisti e alle professioniste assunti, alle consulenze, ai materiali, agli spostamenti e alle telecomunicazioni. È anche presente l’obbligo che almeno il 7% del totale dei costi sia destinato alle spese per l’integrazione.
In ultimo, è specificata l’assenza di lucro come principio che guida la loro gestione: «l’esclusione di lucro dall’attività svolta, conseguente ad una rendicontazione attraverso i singoli giustificativi di spesa, non è incompatibile né con la nozione di impresa né con lo svolgimento di procedure di affidamento dei servizi attraverso contratti di natura commerciale. L’assenza di utile rappresenta, pertanto, la sola modalità di esercizio delle somme […] impiegate nelle attività di accoglienza integrata Sprar».
Per i Cas la rendicontazione non è stata obbligatoria fino al 18 ottobre 2017. In quella data il Ministero dell’Interno e il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno sottoscritto un decreto che «prevede adempimenti in materia di rendicontazione delle spese per la fornitura di beni e servizi che integrano e rafforzano le misure previste dallo schema di capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza per immigrati». La rendicontazione dei Cas, così come è stata illustrata da Minniti in un’interrogazione alla Camera, prevede che «le fatture per la liquidazione del corrispettivo relativo ai servizi di accoglienza debbano essere corredate della documentazione giustificativa della relativa spesa e, in ogni caso, del rendiconto dei costi sostenuti dei pasti ordinati e consegnati e dei beni forniti al primo ingresso unitamente alle ricevute sottoscritte dai beneficiari, della copia dei contratti di lavoro, dei fogli firma e delle relative buste paga del personale impiegato, della copia del registro del pocket money, dell’elenco dei fornitori nonché di copia delle fatture relative agli oneri sostenuti per le forniture per gli eventuali contratti di subappalto».
Dunque, dal 2018 anche i Cas sono obbligati alla rendicontazione delle proprie spese. Al riguardo non si hanno notizie dettagliate dal Ministero dell’Interno, non esiste un sito a cui fare riferimento. Perciò abbiamo deciso di interpellare alcune Prefetture, chiedendo i termini esatti delle rendicontazioni richieste alle cooperative e la pubblicazione dei primi risultati. Vedremo in questi mesi gli effetti della nuova procedura amministrativa e della nostra inchiesta.
I nostri dubbi però non si placano. E sono in merito ai servizi di integrazione, anche questi parte dei doveri di una cooperativa in materia di accoglienza. Doveri che Minniti stesso, nell’interrogazione che abbiamo citato, non menzione minimamente.
Ad oggi, i capitolati di appalto dei Cas sono scritti sulla falsa riga di quelli degli Sprar. Prevedono quindi i corsi di italiano, per l’integrazione sociale e lavorativa dei e delle migranti. Di fatto, sono le Prefetture stesse a richiedere alle cooperative solo i “servizi essenziali”, quali vitto, alloggio e copertura sanitaria. Dimenticando che i Cas sono chiamati al doppio ruolo di garanti dei servizi essenziali e di promotori dell’integrazione.
Questo è quanto prodotto dalla “gestione emergenziale”. Ripetere che l’accoglienza è ingestibile per colpa dei numerosi sbarchi rende accettabile che il Ministero e le Prefetture lascino carta bianca a privati che non si attengono alle norme e al principio di assenza di lucro. E, conseguenza non minore, ciò fa sì che questi uomini e queste donne, giunti in Italia per un’esistenza migliore, non abbiano gli strumenti primari (conoscenza della lingua, della cultura e delle norme sociali) per contribuire alla crescita del nostro paese.
Nelle prossime settimane analizzeremo la questione dei transitanti (i e le migranti che sono fuori dal sistema di accoglienza), denunciata da chi si spende davvero per un’accoglienza umana. E vedremo come alcune associazioni e gruppi di cittadini e cittadine stanno lavorando all’integrazione a cui le istituzioni hanno deciso di non provvedere.