Il lavoro nei centri di accoglienza: la denuncia dei dipendenti

Il lavoro nei centri di accoglienza: la denuncia dei dipendenti

Le condizioni di lavoro nei centri di accoglienza, raccontate da ex dipendenti

È di novembre scorso la denuncia di un ex operatore del centro di accoglienza di Roccasecca, gestione Molise Vacanze s.r.l. Su Facebook, il giovane ha denunciato il trattamento dei e delle richiedenti nel Cas e il mancato pagamento di tre mesi di stipendio. La denuncia prende le vie della giustizia quando il commissariato di Cassino contatta l’ex dipendente dei centri di accoglienza della Molise Vacanze. A questa denuncia seguono quelle di altri lavoratori. Questo è quanto racconta il sito di informazione FROSINONE TODAY del 2 dicembre 2017. Il sito riporta anche di un’indagine in corso per maltrattamenti e truffa. 

Sono stata a Cassino per incontrare ex operatori e operatrici dei centri di accoglienza della Molise Vacanze e capire le loro condizioni di lavoro.

 

Gli stipendi

Hanno lavorato nell’anno 2017, con contratti a tempo determinato mai rinnovati. Alcuni in entrambi i centri di accoglienza, sia a Cassino che a Roccasecca, senza mai riceve rimborsi chilometrici. Una di loro si è licenziata perché in quattro mesi (di un contratto di sei) ha percepito solo lo stipendio del primo mese di lavoro. Un altro ha ricevuto due mesi di paga su sei lavorati. Una terza ha ricevuto tutti i pagamenti, ma dopo sei mesi dal mancato rinnovo del contratto. Contratto non rinnovato perché era incinta. Anche se la previdenza avrebbe provveduto al suo stipendio per il periodo di maternità, l’azienda non aveva intenzione di pagarle i contributi.

La strategia per ricevere gli stipendi è chiamare tutte le settimane l’ufficio amministrativo della Molise Vacanze. Chiedere a che punto sono i pagamenti, insistere sulla necessità e il diritto di percepire quei soldi. Ma non per tutti funziona. C’è chi, mai pagata, ha provato a rivolgersi all’Ispettorato del lavoro per provare la via della conciliazione. Ma la Molise Vacanze non si è presentata all’udienza. Come ci ha spiegato l’avvocato che segue la donna, adesso procederanno per la via del tribunale ordinario. Il problema è che l’azienda non ritira le raccomandate inviate dal legale. Ho avuto modo di parlare estesamente con l’avvocato Pierluigi Franchitto, ci torneremo.

Le condizioni di lavoro

Uno di loro mi racconta che al suo arrivo l’anno scorso faceva turni anche di 14 ore al giorno. Il motivo è semplice: quattro dipendenti (direttore compreso) si dovevano turnare per assicurare la copertura h24 della struttura. «Il turno di notte non terminava mai all’ora dovuta, si protraeva per altre due-tre ore per il personale insufficiente» denuncia un ex operatore. «Anche dopo la riorganizzazione dei turni, quando finivo la notte dovevo rimanere a preparare le colazioni mentre gli altri si occupavano degli accompagnamenti. E non veniva mai rispettata la norma del giorno di riposo dopo la notte».

Ciò ha comportato che tutti dovessero occuparsi delle mansioni riservate agli operatori di struttura. La mediatrice culturale, la psicologa e il direttore facevano accompagnamenti sanitari e per i documenti, preparavano la colazione, sporzionavano e distribuivano i pasti. Tutto ciò, andando contro al capitolato d’appalto generale predisposto del Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione del Ministero dell’Interno. Nei centri di accoglienza fino a 50 ospiti, il personale deve essere composto da quattro operatori a tempo pieno (tre diurni e un notturno) e sette figure professionali a tempo parziale (un direttore, un infermiere, un medico, uno psicologo, un mediatore socio-culturale, un assistente sociale, un interprete, con orari settimanali che variano dalle 8 alle 36 ore).

Senza dimenticare che le figure del direttore, del mediatore culturale, dell’assistente sociale e dello psicologo non devono essere assunte solo “nominalmente”, ma devono essere messe nelle condizioni di operare secondo il proprio ruolo e la propria professionalità.

Ma chi lavora in questi centri?

Personalmente ho incontrato uomini e donne che mi hanno parlato del proprio lavoro con competenza e passione. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, le cose vanno diversamente. «Generalmente vengono assunte persone che non hanno studiato per lavorare con i e le richiedenti asilo. Spesso sono persone che, perso il lavoro, si sono accontentate di quello che hanno trovato». Guardiani notturni, cuochi e operatori improvvisati.

Abbiamo richiesto un parere alla dottoressa Chiara Caucci, una psicologa che era impiegata nei centri di Roccasecca e Cassino. Ci spiega che «il problema è che nei centri di accoglienza per richiedenti asilo abbiamo a che fare con persone dall’elevata vulnerabilità». E prosegue: «sono uomini e donne traumatizzate, pensiamo al lungo viaggio intrapreso e alle violenze subìte o a cui hanno assistito in Libia. Talvolta la sofferenza psichica può sfociare in reazioni aggressive. Se il personale è impreparato ad accogliere queste reazioni, si può innescare un’escalation di violenza che produce tensione e liti tra operatori e ospiti». La dottoressa Caucci mi ha illustrato approfonditamente gli aspetti psicologici legati al vissuto dei e delle richiedenti asilo. Di ciò parleremo più avanti.

«Spesso ti trovi a collaborare con colleghi che non hanno la minima idea del lavoro che si deve fare a livello relazionale e comunicativo». Il principale problema è l’assenza di comunicazione con i e le richiedenti. Un’ex dipendente si chiede, «se la maggior parte del personale non conosce l’inglese (la principale lingua parlata dai e dalle richiedenti asilo ndr), come si può pretendere comunicazione?».

Il disagio di operatori e operatrici

Il disagio principale è dovuto alla mancanza di strumenti e di personale adeguato con cui confrontarsi. Un esempio: il lavoro giornaliero nell’accoglienza è fatto di accompagnamenti sanitari di routine messi in calendario e distribuiti tra i vari operatori e operatrici. A questi si aggiungono accompagnamenti extra dovuti a situazioni meno ordinarie (quali visite e analisi specialistiche). «Se c’è carenza di personale e solo un’auto per fare i trasporti il lavoro si complica» mi spiegano. Da ciò può scattare malcontento e disagio. In questi casi è necessario supportare gli e le ospiti a comprendere e analizzare quanto accade, anche per evitare reazioni negative. Ovviamente, se il personale non è preparato le condizioni peggiorano: il disagio non viene compreso e non può essere trattato e né ridimensionato.

Il triangolo vittima-salvatore-carnefice

Caucci mi spiega anche che «lo scenario peggiore si prospetta con l’innesco del “triangolo vittima-salvatore-carnefice”». All’inizio, questo schema vede il o la richiedente come vittima di un sistema che non risponde alle sue esigenze materiali e psicologiche. L’operatore si sente utile e quindi si mette nella posizione del salvatore. «Funziona finché non ti rendi conto che non ce la fai. Perché l’ente non ti dà gli strumenti per intervenire, e tu ti senti sola e impotente davanti alle tue responsabilità. A questo punto per il richiedente diventi un persecutore, e puoi arrivare a sentirtici anche tu. Il cerchio si chiude con te che ti senti vittima di un richiedente percepito come troppo insistente e che si trasforma in carnefice».

In questo contesto è fondamentale che ci sia una psicologa o uno psicologo in struttura, figura obbligatoria secondo le disposizioni ministeriali. «Non solo per gli ospiti, ma anche per l’equipe. In questo tipo di lavori è frequente il burnout (sindrome che colpisce gli operatori impiegati nei servizi alla persona causata da intenso stress ndr). «Un’equipe lavora bene se persegue degli obiettivi condivisi» commenta la psicologa «e al personale specializzato sta il compito di agevolarne la possibilità». 

Il turn over

Un ultimo aspetto che abbiamo affrontato è quello del “turn over”, la rotazione del personale all’interno di una struttura. In diversi casi, in pochi mesi arriva anche al 90%. I centri di accoglienza del frosinate gestiti dalla Molise Vacanze non fanno eccezione. Dall’estate 2017 ad oggi 6 operatori su 7 si sono licenziati o non hanno ricevuto il rinnovo del contratto.

Gli e le ex dipendenti ascoltate hanno due diverse opinioni sulle ragioni che producono un turn over così intenso. Per alcuni, l’azienda non è preoccupata della carenza di personale. In tempi di crisi del mercato del lavoro sono subissati di offerte e curriculum. Secondo questa interpretazione, la Molise Vacanze non avrebbe interesse a investire in lavoratori e lavoratrici affidabili, messi nelle condizioni di offrire un servizio sempre migliore. Un’altra ipotesi è che ci sia una sorta di strategia inconsapevole che tende a liberarsi dei più qualificati e appassionati. Questi infatti, sono anche quelli che si scoraggiano maggiormente di fronte a condizioni di lavoro che non permettono loro di esprimere le proprie competenze e che li rendono impotenti davanti alle esigenze delle persone di cui dovrebbero occuparsi.

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