Divieto di informazione: il lavoro di lasciateCIEntrare

Divieto di informazione: il lavoro di lasciateCIEntrare

Nell’ultimo post abbiamo fatto il punto sulle cifre dell’immigrazione e dell’accoglienza. Abbiamo visto che il numero dei e delle richiedenti asilo è minore rispetto a quanto sbandierato dal centro-destra e dall’estrema destra. Abbiamo visto che l’informazione pubblica relativa ai Cas è molto scarsa.

La campagna lasciateCIEntrare nasce nel 2011 per rompere il silenzio sull’accoglienza e fa appello all’art. 21 della Costituzione che tutela la libertà di stampa. Dal sito della campagna apprendiamo che il primo obiettivo è stato «contrastare una circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei CIE e nei C.A.R.A.». Grazie a questo lavoro di pressione, la circolare è stata abrogata. Gli attivisti e le attiviste della campagna sono riusciti a visitare alcuni CIE e CARA.

Tuttavia, ciò non ha segnato un’effettiva svolta per la libertà di informazione sull’accoglienza dei e delle migranti.

Per tale ragione, nel 2015 è nata la campagna inCAStrati (portata avanti da lasciateCIEntrare, Cittadinanza attiva e Libera). Queste realtà hanno avviato delle azioni civiche per sollecitare Ministero dell’Interno e Prefetture alla trasparenza. Le tre associazioni hanno chiesto «la pubblicazione dell’elenco dei CAS presenti sul territorio nazionale, degli enti gestori, di informazioni inerenti gare, convenzioni, rendicontazioni, esiti delle attività di monitoraggio sui servizi erogati». Le risposte sono state poche o nulle. Il Ministero e diverse Prefetture si sono appellati al mancato obbligo alla pubblicazione delle informazioni richieste, esattamente quello che la campagna stava contestando. Allo stesso tempo, le associazioni hanno tentato di entrare nei Cas per vedere con i propri occhi come viene gestita l’accoglienza. La ricerca a macchia di leopardo in tutto il paese ha rilevato delle condizioni ingiuste e degradanti.

Dal 2015 in avanti si può dire che nulla è cambiato, anzi.

Come detto, non sono ancora pubblici gli elenchi dei centri di accoglienza straordinaria, né degli enti gestori. Stessa cosa per le quantità di richiedenti asilo che ogni centro ospita.

Yasmine Accardo, portavoce di lasciateCIEntrare, ci conferma che nel 2017 sono stati negati loro quasi tutti gli accessi. Accardo afferma che, «nonostante le diverse richieste, non siamo mai stati autorizzati per gli hotspot». Per l’hotspot di Pozzallo è stato risposto che «la delegazione non è adeguata», mentre per i CIE che «non si autorizza l’accesso per questioni di ordine pubblico». L’accesso ai CIE è ormai possibile solo grazie all’intervento dei parlamentari, i quali però concedono scarsissima disponibilità. Il caso unico del 2017 è l’accesso al CIE di Brindisi con la deputata Annalisa Pannarale. La portavoce ci tiene a precisare che «le persone ritenute non autorizzabili all’accesso erano sempre entrate nello stesso o in centri similari». Nei Cas, le pochissime visite si sono svolte in Sardegna e in Calabria, mentre sono state negate a Cona, Mineo, Gradisca e Messina. E conclude: «continuiamo i monitoraggi solo grazie alle testimonianze, per rilievi esterni o accessi informali a sorpresa, che ci vengono per lo più impediti».

Ci chiediamo: perché mancano le dovute informazioni da parte del Ministero degli Interni e le Prefetture? Quali motivi di “ordine pubblico” negano alla cittadinanza di sapere come vengono gestiti i Cas, quali e dove sono, quanti soldi spendono? Cosa rende il sistema di accoglienza ancora emergenziale e senza controllo a quattro anni dalla sua istituzione? Sono in atto i controlli che le istituzioni dovrebbero compiere?

Nel frattempo, sono realtà come lasciateCIEntrare che provvedono, seppur tra mille ostacoli, al monitoraggio e all’informazione sull’accoglienza in Italia. E noi con loro.

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