Lavoro e inclusione per i migranti. La falegnameria sociale K_alma
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Lavoro e inclusione per i migranti. La falegnameria sociale K_alma

Incontro con Gabriella Guido, Presidente dell’Associazione K_alma

Negli articoli precedenti abbiamo visto, nella teoria come nella pratica, come funziona la complessa macchina dell’accoglienza migranti. O meglio, abbiamo visto cosa non funziona. Abbiamo ascoltato diverse persone, visto come le cooperative che gestiscono i Cas debbano garantire solo i “bisogni essenziali” dei e delle richiedenti asilo, senza nessuna attenzione all’integrazione. E che spesso non fanno neanche quello. Continueremo a farlo, a denunciare i casi di mala accoglienza.

Ma allo stesso tempo stiamo cercando quei luoghi di confine che svolgono le attività che le cooperative non mettono in campo e che le prefetture non pretendono da loro. Attività che rientrano nel campo del volontariato e che colmano vuoti istituzionali. Un esempio è la falegnameria sociale K_alma, dove diversi professionisti/e si impegnano a creare un nesso tra lavoro e inclusione e riscatto sociale per i richiedenti asilo. E non solo.

La falegnameria sociale nasce dal lavoro dell’associazione K_alma, nata nel 2016. Gli obiettivi sono chiari nel sito: “tutte le attività ed i progetti dell’Associazione K_Alma, sono caratterizzate da trasparenza, partecipazione e innovazione sociale. L’Associazione, sin dalla sua nascita, promuove progetti mirati alla diffusione di nuove pratiche collaborative tese all’eco-sostenibilità, all’inclusione di soggetti svantaggiati e alla condivisione”.

La falegnameria è il primo di questi progetti e il più avviato. La sua sede è all’interno del Villaggio Globale, centro sociale attivo da più di vent’anni nel quartiere Testaccio di Roma. Giorni fa ho visitato la falegnameria e ho parlato con Gabriella Guido, la presidente dell’associazione K_alma.

Volontari per creare lavoro

I lavori hanno luogo in due locali: un laboratorio e un magazzino. Le due stanze erano bagni, ora riconvertiti in officina. La riconversione è stata la prima attività formativa e di pratica. Un architetto che lavora per Amref (African Medical and Research Foundation) ha seguito i lavori, un falegname professionista ha dato ai ragazzi le basi del mestiere.

Il lavoro di questi professionisti è completamente volontario. «Non abbiamo accesso a nessun tipo di finanziamento. Al momento ci sosteniamo con i nostri sforzi e con l’attività volontaria di chi insegna ai ragazzi il lavoro di falegname e di tappezziere».

Siamo tutti migranti

Attualmente lavorano all’interno dell’officina una quindicina di ragazzi. Molti sono stranieri, per lo più africani, ma ci sono anche italiani. Tutti inoccupati e disoccupati, accomunati dalla ricerca di un impiego e di una formazione che li aiuti nella ricerca.

“Siamo tutti migranti” recita il sito: “Sono molti gli inoccupati o i disoccupati, giovani e non, che in Italia stanno cercando un’alternativa ai “classici” lavori, oppure che si stanno riconvertendo dopo un licenziamento, o la chiusura di un’attività”. E prosegue: “Anche in quell’ottica di inclusività che cerchiamo di operare verso soggetti migranti che si insediano in Italia, pensiamo che noi tutti siamo, ovviamente in maniera concettualmente diversa, “migranti” o “transitanti” da uno status all’altro, da una condizione all’altra…

C’è un irregolare tra loro. Un cosiddetto “clandestino”. R. ha 29 anni e viene dalla Nigeria. Arriva in falegnameria quando sono lì da pochi minuti. Ci presentiamo, saluta i presenti ed entra subito nel laboratorio. È appena tornato da Todi, dove stava lavorando. Ora lavora in diverse città, si sposta molto, ma viene sempre pagato in nero. Viveva a via Vannina (nell’occupazione di persone fuori accoglienza di cui abbiamo parlato qui e qui). «È un ragazzo molto determinato» mi dice Gabriella. «Non voleva cadere nei giri della microcriminalità che in luoghi come quelli possono essere l’unica fonte di sostentamento. Per questo, da mesi viene in falegnameria tutti i giorni ». Attraverso i contatti attivati è entrato nella rete dell’ALI (Accoglienza Libera e Integrata). Grazie a questo progetto, è ospitato in una casa a Trastevere, dove viene trattato come uno di famiglia.

Qui incontro anche Tamer, un rapper che vive in Italia da molti anni. Sta seguendo un corso di montaggio video e intende aprire un laboratorio di serigrafia (stampa su tessuto) all’interno della falegnameria.

Il legno come terapia

L’iniziativa prende corpo da un’intuizione di Gabriella Guido. La sua passione per il legno le ha dato l’idea: «sono convinta che attraverso la lavorazione del legno si possano ottenere ottimi risultati. L’apprendimento mette i ragazzi in una posizione di ascolto. La costruzione di un mobile, la manualità li mette nella condizione di imparare dai propri errori e a risolvere i problemi che incontrano». Le prospettive terapeutiche della lavorazione del legno sono già state sperimentate da comunità che si occupano di disabili. Questo tipo di interventi fanno riscontrare diversi risultati, tra cui la capacità di lavoro in gruppo, il dialogo tra pari e il rispetto dei tempi di consegna. L’intuizione di Gabriella è stata nell’applicare questo tipo di “terapia occupazionale” a un’altra categoria di “soggetti vulnerabili”, i richiedenti asilo.

Il lavoro come riscatto sociale

Il 23 febbraio 2018, il Museo preistorico etnografico Pigorini di Roma ha inaugurato la mostra “The Making of a Point of View. Sguardi sulle collezioni indonesiane e malesi”. Il museo ha contattato K_alma per la produzione delle strutture espositive della mostra. «È stata un’ottima occasione di visibilità e per instillare fiducia nei ragazzi. L’autoimprenditoria è lo stimolo primario che tentiamo di instillare. Cerchiamo di far capire loro che lavorando si possono raggiungere dei risultati». Grazie al finanziamento ricevuto dal museo, infatti, hanno potuto pagare i ragazzi con una ricevuta che attestasse la prestazione.

Ciò purtroppo non è stato possibile per R. «Da irregolare, se avessimo emesso una ricevuta avremmo potuto essere denunciati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Considerando che quello di clandestinità è un reato amministrativo, è assurdo che per questo ragazzo si chiudano tutte le possibilità di crescita e integrazione». Il reato commesso dai cosiddetti clandestini è semplicemente di non aver rinnovato nei tempi giusti il permesso di soggiorno. E’ una questione amministrativa, spesso causata dalla mancanza di informazione e dai ritardi burocratici. Che non identifica quindi una persona come criminale e che però ha delle conseguenze molto gravi per chi intende integrarsi.

Volontari per creare lavoro

Tutte le attività del centro avvengono per iniziativa dei volontari e delle volontarie che collaborano con i ragazzi. «Le cooperative che gestiscono i Cas dove vivono alcuni ragazzi non hanno problemi con la nostra attività, anzi. Il fatto è che loro non pagano nulla. Anche gli spostamenti in bus per arrivare qui li paghiamo noi ai ragazzi, le cooperative non coprono neanche quella spesa».

Per il momento, la maggior parte del lavoro si basa su commissioni di amici che ruotano intorno al progetto. Quando sono lì, stanno terminando una libreria a moduli componibili per la sede romana di Amref. Stanno lavorando anche a una linea di sgabelli. «La linea semplice ed essenziale è arricchita da tessuti africani. R. crea lo sgabello, Leandro, si occupa del tessuto». Il lavoro non si arresta, insomma, e guarda oltre. Gli sgabelli, infatti, sono stati preparati per il Fuori Salottino, sezione “off” e parallela all’Esposizione del Mobile di Milano che si è tenuta dal 17 al 22 aprile.

Conclude Gabriella Guido: «L’obiettivo del prossimo anno è consolidare il lavoro, permettere ai ragazzi di raggiungere un reddito attraverso l’attività della falegnameria. Nel prossimo anno, abbiamo intenzione di aprire più giorni a settimana, per ampliare le attività e per poter accogliere ancora più persone».

Dal 2016, dunque, la falegnameria sociale K_alma è uno di quei luoghi che colma i vuoti che cooperative e istituzioni non solo non vedono, ma che spesso provocano. Volontari e volontarie che credono nell’impegno per l’integrazione dei e delle richiedenti. Per dare dignità a queste persone, e da cui ci guadagna tutta la società. Un lavoro fatto di intensa partecipazione collettiva, che impegna una rete informale in continua espansione.

 

 

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