Al vaglio della Corte di Cassazione le questioni di incostituzionalità del decreto Minniti-Orlando rilevate da Asgi e Giuristi Democratici
Si moltiplicano le azioni pubbliche di solidarietà ai e alle migranti e di contrasto a queste politiche migratorie e dell’accoglienza. Di questi giorni è la mobilitazione europea in vista del Consiglio europeo del 28 giugno. Essa auspica una riforma del Regolamento di Dublino in chiave solidaristica. Numerosi gli interventi di natura giuridica in un momento tanto delicato a livello politico. Ricordiamo il Ministro degli Interni che, complici alcuni colleghi ministri, chiude i porti alle navi che salvano i migranti. E ancora, la continua la criminalizzazione delle Ong sui media nazionali, nonostante le tesi di Salvini e Di Maio siano state smentite dal Gip di Palermo.
Il decreto Minniti-Orlando di fronte alla Corte di Cassazione
Il 27 giugno è stata celebrata un’udienza presso la Corte di Cassazione, portata avanti da avvocati e avvocate delle associazioni Asgi e Giuristi Democratici e sostenuta da A buon diritto e Arci. Il merito, l’incostituzionalità del decreto Minniti-Orlando n. 13/2017 che ha disposto una radicale riforma dell’accoglienza e della gestione delle richieste di protezione internazionale. Secondo il ricorso presentato, l’incostituzionalità si manifesta, tra l’altro, nel fatto che la riforma Minniti-Orlando, prevede per la sola protezione internazionale, dunque in materia di diritti fondamentali, l’abolizione del secondo grado di giudizio. Accanto a ciò, è stato rilevato il venire meno del diritto di difesa, del principio del contraddittorio e della parità delle parti.
L’udienza pubblica è stata partecipata, data la rilevanza della questione. L’ampia discussione, sostenuta dall’avvocato Antonello Ciervo, è partita dal ricorso contro un provvedimento di parziale accoglimento del Tribunale di Napoli, in favore di un richiedente di origini maliane seguito dall’avvocata Margherita D’andrea. Entrambi i difensori hanno poi condiviso l’intenzione di domandare alla Cassazione una forma di protezione maggiore rispetto a quella riconosciuta in primo grado, contemporaneamente ponendo le cinque questioni di illegittimità costituzionale del decreto.
Perché il decreto Minniti-Orlando è incostituzionale?
1. Il decreto è stato disposto con urgenza e immediatezza, posta la motivazione dell’emergenza migratoria. I presupposti per produrre un decreto d’urgenza sono stati smentiti dal pool di avvocati e avvocate. La prima questione nel merito è la mancanza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza. Il decreto, infatti, è stato mutato in legge solo dopo 180 giorni, mentre la media dell’approvazione parlamentare di una legge di iniziativa governativa è inferiore, fissata su 172 giorni. La seconda, più sostanziale, è l’illegittimità a disporre d’urgenza la ristrutturazione di una materia tanto complessa come la gestione amministrativa e giudiziaria delle richieste d’asilo.
2. Il primo grado civile prevede che il giudice, al posto di ascoltare il richiedente asilo, prenda visione della videoregistrazione prodotta in fase amministrativa, durante l’audizione della Commissione territoriale. Secondo i e le legali, il rito camerale così introdotto è legittimo se non vìola i principi del contraddittorio e della parità delle parti. Tali principi, invece, sono garantiti solo sulla carta, perché ad oggi le videoregistrazioni non sono garantite per la scarsità di strumentazione adeguata. Inoltre, l’avvocato del richiedente asilo può visionare la videoregistrazione solo dopo successivamente al deposito del ricorso, quindi non se ne può avvalere per la costruzione della sua difesa.
3. Ascoltare il richiedente protezione internazionale in presenza è a discrezione del giudice di competenza. Ma obbligatorio in assenza di videoregistrazione che sostituisca la “parola viva”, aggiunge il ricorso. Tuttavia, pur non essendo ancora diffusa la pratica della videoregistrazione, in alcuni Tribunali non viene comunque ascoltato il richiedente. E ciò comporta una violazione del diritto di difesa.
4. L’eliminazione di un grado di giudizio, il secondo. Per i richiedenti entrati in Italia, con il decreto Minniti-Orlando, dopo il primo grado si passa direttamente alla Cassazione. Ciò non è di per sé incostituzionale, nel campo civile è previsto. Ma la difesa ha fatto presente che i tre gradi di giudizio sono preservati per le questioni amministrative mentre negati per una materia delicata che pertiene al campo dei diritti umani. È dunque da considerare la legittimità giuridica di tale procedura.
5. L’ultimo punto pertiene i tempi per il ricorso in Cassazione, fissati a 30 giorni rispetto a quelli ordinari di 60. Per il ricorso in Cassazione è necessaria la firma del richiedente sul provvedimento del primo grado. Prima di tutto, questa procedura comprime i tempi per la costruzione della difesa. Inoltre, non rispetta il principio di parità delle parti: tale firma non è richiesta alla controparte nel ricorso, l’Avvocatura di Stato. Ancora, qualora la difesa ritenga di richiedere l’accesso agli atti, anche il tempo di presentazione degli atti da parte dalle Commissione è fissato a 30 giorni. Viene meno, anche in questo caso, il diritto di difesa.
Perché tante forzature?
Le disposizioni del decreto Minniti-Orlando hanno l’obiettivo di semplificare e accelerare le procedure per la richiesta di protezione internazionale. Obiettivo che, secondo le associazioni, non viene neanche garantito dalle forzature prodotte. Oltre al mancato rispetto della costituzione, vengono meno anche le ragioni pratiche che giustifichino tali disposizioni.
È molto probabile, infatti, l’appesantimento del lavoro della Corte di Cassazione, a cui potrebbero arrivare le domande di ricorso in passato assorbite dal Tribunale d’Appello. Non sono da dimenticare le ricadute sociali in termini di marginalizzazione. Esse, infatti, implicano danni sociali non solo per i e le richiedenti asilo, ma generalizzati nella società.
La linea Minniti-Salvini
Le ragioni presentate nell’udienza sono state illustrate pubblicamente il giorno precedente, in conferenza stampa. Presso la Sala Stampa Romana i diversi interventi hanno mostrato il profondo senso politico sotteso all’azione legale e il contesto entro cui agisce.
Prima di tutto, la stretta connessione tra le strategie di Minniti e di Salvini. Secondo Filippo Miraglia di Arci, Minniti ha creato il terreno di “una criminalizzazione dei e delle migranti che ha aperto a Salvini”. E su cui Salvini sta lavorando quasi completamente indisturbato. Non è nuova l’idea di chiudere i porti: Minniti aveva tentato lo scorso anno, ma l’allora Ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, lo aveva impedito. Ancora, il 25 giugno Salvini ha visitato la Libia per ampliare l’intervento italiano nella zona. Ciò a seguito e in totale continuità con gli accordi Italia-Libia fortemente voluti da Minniti. Non cambia lo scenario che vede l’Italia tra i responsabili delle condizioni disumane con cui vengono trattenuti i e le migranti sul territorio libico.
Politica dell’insicurezza
In secondo luogo, è stato evidenziato come la questione non attenga esclusivamente al campo giuridico ma sia tutta politica. In questa ottica, la “contrazione dei diritti” prodotta dal decreto non è un problema per “tecnici” ma è una soluzione che contrasta con l’obiettivo di sicurezza sociale che si pone. Valentina Calderone (A buon diritto) mette in luce che il trinomio “sicurezza-risparmio-efficienza non mette in conto i costi sociali” delle scelte politiche. Secondo Margherita D’Andrea (Asgi) l’insicurezza percepita alla vista degli “irregolari” che ciondolano davanti alle stazioni non è contrastata bensì prodotta dalla chiave securitaria, che limita i diritti di quelle persone. Chi non ha documenti regolari non può lavorare, e di fatto può essere spinto a trovare espedienti illegali per sopravvivere.
Interessante anche il fatto che proprio da giuristi e giuriste arrivi l’esortazione a una riappropriazione politica e civile delle battaglie in campo. La riduzione delle soluzioni al solo diritto, infatti, può produrre un ulteriore assottigliamento dello spazio pubblico di dibattito e azione. Riflessione, questa, che non sembra estranea alle associazioni di giuristi qui coinvolte.
Cosa ci aspetta?
Torniamo all’udienza del 27 giugno. La Procuratrice Generale Immacolata Zeno si è espressa negativamente rispetto all’ammissibilità delle 5 questioni di legittimità costituzionale sollevate. I suoi giudizi sono apparsi molto cauti, volti a rimandare alla presidenza e ai membri della Corte di Cassazione l’interpretazione della questione. Tuttavia, nel fare ciò ha posto le basi per una legittimazione delle forzature legislative messe in campo dal precedente Governo e che potrebbe produrre degli effetti futuri.
Una posizione, tuttavia, che non produrrà necessariamente gli effetti negativi previsti. In verità, il risultato migliore per gli avvocati e le avvocate procedenti sarebbe che la Corte di Cassazione valutasse di non poter giudicare nel merito e rimandasse alla Corte Costituzionale. A quel punto, si aprirebbe lo scenario per un dibattito pubblico su tale fondamentale questione. Reali sarebbero le possibilità di bocciare il decreto Minniti-Orlando e la legge conseguente del 17 agosto 2017. Ciò chiaramente imporrebbe una netta inversione di rotta alle disposizioni legislative in materia di protezione internazionale. E, ci si augura, darebbe una sferzata ai movimenti di riforma dell’accoglienza e un freno alle politiche del Ministero degli Interni.